Voce ai Diritti

13 enne allontanato dalla mamma perché effeminato: il dramma dei minori che rimangono soli.

Di Marica Malagutti






Ci sono diversi casi che come professionista, ma anche come semplice lettrice della stampa mi fanno pensare o meglio preoccupare rispetto alle famiglie di oggi.
Le separazioni sono all’ordine del giorno, ma purtroppo sono solo la fase opposta dei matrimoni, in cui si rimane legati non per amore, ma per odio.
Non si può parlare quindi di vera separazione perché non vi è libertà.

I genitori continuano a lottare uno contro l’altro e i figli ne subiscono le conseguenze.
Anche se ci sono diversi strumenti istituzionali, pubblici e privati che intervengono a sostegno di queste problematiche, ancora molte cose non funzionano, ancora la sofferenza sovrasta non solo gli attori principali della separazione, ma anche figli e parenti.

Non è possibile che come si legge sui giornali un ragazzino di 13 anni venga allontanato dalla mamma per un comportamento effeminato, ma anche in altri casi per alta conflittualità o ancora perché non vuole vedere uno dei genitori.

Sul caso del ragazzo effeminato il dispositivo del tribunale dei minori di Padova scrive: «…tende in tutti i modi ad affermare che è diverso e ostenta atteggiamenti effeminati in modo provocatorio. Il suo comportamento è legato quasi esclusivamente a figure femminili. Detiene un’Identità sessuale incerta – L’adolescente non potrà, dunque, più stare con la madre. Madre con cui il rapporto, secondo il Tribunale, era viziato da “aspetti di dipendenza, soprattutto riferendosi a relazioni diadiche con conseguente difficoltà di identificazione sessuale”. Secondo quanto riportato dal quotidiano locale, il 13enne si era presentato a scuola con gli occhi truccati, lo smalto alle unghie e brillantini sul viso. Tanto è bastato a decretare l’allontanamento dalla famiglia nonostante la replica della madre secondo cui il ragazzo si era presentato truccato solo in occasione di una festa di Halloween in terza elementare. In ogni caso, ha sottolineato la donna, “se anche fosse omosessuale per me non sarebbe certo un problema…”».


Sarebbe interessante valutare la realizzazione personale e lavorativa di chi ha passato gli anni dell’infanzia e/o adolescenza in una comunità.
Dopo anni di esperienza nel mio lavoro ho raccolto testimonianze di giovani adulti che sono stati istituzionalizzati e la sofferenza di queste persone è veramente grande, ma quello che ha detto una bambina di appena 5 anni fa veramente riflettere.
Un giorno mentre descriveva un episodio del suo breve passato, ha esordito riferendosi alla comunità in cui era stata inserita: “quando ero in nessun posto…” come possiamo pensare che un minore possa imparare, giocare, crescere in modo adeguato senza un affetto e un punto di riferimento importante?

Sicuramente se un bambino manifesta problematiche scolastiche e relazionali dovrà frequentare un “dopo scuola“, laboratori per migliorare e crescere in modo consono e i genitori potranno fare percorsi personali o sulla genitorialità, ma spezzare legami affettivi può creare danni ben più gravi di quelli iniziali.

È importante sapere infine che la deprivazione o carenza di cure materne viene indicata come un quadro di ritardo evolutivo composito, in quanto relativo a tutti gli aspetti dello sviluppo fisico e psicologico e che colpisce soggetti che nell’infanzia non hanno ricevuto cure adeguate.

Bowlby nel 1951 ha sostenuto che i bambini privati dell’opportunità di instaurare una relazione di attaccamento avrebbero sviluppato un carattere anaffettivo. Negli anni 70’ diversi studi hanno dimostrato che il grave ritardo evolutivo che caratterizzava i bambini che crescevano in un istituto non era dovuto alla separazione della madre in sé ma dipendeva direttamente dalle condizioni carenti, in primo luogo in termini relazionali, della vita di istituto.

Occorre quindi una ricerca approfondita e longitudinale per valutare i metodi di sostegno famigliare presenti nel nostro Paese e in questo caso prendo spunto da quello che mi ha detto un ragazzo che fin da bambino entrava in comunità e poi regolarmente scappava a casa proprio da quei genitori che erano stati definiti maltrattanti. ” Io non ho niente contro la comunità anche perché mi aiutano a studiare, ma ho voglia della mia mamma, del mio papà e dei miei fratelli”.

La soluzione trovata insieme al ragazzo e agli operatori sociali è stata quella di inserire il ragazzo in una struttura non lontana da casa, introdurre telefonate quotidiane e il rientro a casa il venerdì pomeriggio dopo i compiti e per tutte le feste.

Il compromesso trovato in questo caso ha aiutato sia il ragazzo che i genitori a superare il dolore della lontananza e di costruire un progetto concreto di cambiamento.















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