Un mucchio di Storie
Magma
di Michela Pezzani
Non
stiamo per parlare della solita ricetta, del solito dessert, del
solito tradizionale e campanilistico dolce, ma di un'esperienza di
vita, di un qualcosa che.... se non lo si è mai assaggiato occorre
farlo, tenendo presente però che può creare dipendenza e gravi
crisi di astinenza. Produrlo in casa poi... è un'attività che
ha del sacro e richiede vocazione. Se davvero, dunque, ci si vuole
cimentare nella preparazione domestica di un buon pampapato (o
panpepato, sebbene di pepe non ci sia traccia), ovvero il tipico
dolce natalizio della città di Ferrara in Emilia, occorre
procurarsi gli ingredienti magici per fare il fantastico “magma
calorico”, impasto delle meraviglie, ovvero farina, mandorle
sbucciate, cacao amaro, cioccolato fondente, zucchero, miele, frutta
candita mista, un cucchiaio di olio di oliva, cannella in polvere e
chiodi di garofano tritati. Tirato fuori lo stesso asse tuttofare
che serve in altre situazioni non meno caserecce tipo per fare la
sfoglia, il piano di lavoro è pronto per impastare la farina, il
cacao, la frutta candita tritata grossolanamente, le mandorle intere,
lo zucchero, il miele e le spezie, con sola acqua tiepida, che
si verserà poco a poco fino a ottenere un composto ben “coniugato”
e sodo al quale dare la caratteristica forma a calotta. Si unga
dunque il pampepato con un po’ di olio prima di cuocerlo in forno
e… suggerisce l’esperienza… si faccia attenzione che non bruci
perché altrimenti prende l’amaro. Lo si lasci poi riposare in
luogo fresco e umido per dieci giorni, si passi quindi alla
fase finale ricoprendolo con il cioccolato fondente fuso a bagno
Maria. La tradizione attribuisce la ricetta di questo caratteristico
“pasticcione succulento” Pan del Papa, alle monache del
convento del Corpus Domini a Ferrara, su ispirazione di una
antica ricetta del cuoco rinascimentale Cristoforo da Messisburgo
e la vuole seicentesca, ma la voce è attestata in documenti più
antichi risalenti il 1400 quando troviamo anche qualche cenno
ad ingredienti che oggi non si usano più quali la saba.
La
fatica più grande è impastare- confida Elide Malagutti, “arzdòra”
ferrarese doc e che nella realizzazione dei panpepati si è cimentata
per anni, tant’è vero che per affrontare la fatica delle braccia e
dell’olio di gomito ha avuto sempre bisogno delle braccia di
suo marito Oberdan, che a Ferrara si pronuncia Oberdàn, con
l’accento sulla a. “Il periodo natalizio è sempre stato quello
dell’impresa eroica nella preparazione del dolce ipercalorico-
confida la memoria indelebile di Oberdàn- e l’acquisto degli
ingredienti era un momento speciale lista alla mano alla volta delle
due drogherie storiche di Ferrara, i “Grisùn” e “da Bazzi”,
dove i commessi ti servivano indossando il loro camice detto in
dialetto “grembialòn” che cinquanta anni fa era scuro e
non bianco come è imposto oggi ai banchi alimentari. Tale tinta
infatti serviva a garantire la pulizia visiva anche nei lavori
quotidiani vari. I profumi di queste botteghe, poi, erano misti e
appena si entrava le narici si riempivano di aromi paragonabili agli
effluvi delle “fumerie” dove i nasi fini sanno separare un
profumo dall’altro. Essendo le botteghe molto grandi, il fiuto da
segugio da caccia conduceva l’acquirente ai vari reparti, dalle
spezie, ai vini, ai liquori, alla farina dolce, alle castagne detti
“guciarò”, ovvero le “caramelle degli studenti” e che erano
tenute in cassoni aperti dai quali una paletta raccoglieva i preziosi
quantitativi richiesti dai clienti. La “arzdora” e l’aiuto
“arzdora”, alias l’uomo, erano già addetti alla pratica del
pampepato casalingo un bel po’ di giorni prima delle feste-
sottolineano gli appunti di Oberdàn- e noi bambini approfittavamo
dell’evento con la pulizia dei tegami di smalto sporchi di
cioccolata che si ripassavano con il cucchiaio fino a un certo punto
e poi con le dita finché erano lucidi dentro come fuori.
In media per ogni Natale, di pampepati se ne preparavano una ventina
che duravano un paio di mesi a seconda della golosità della
famiglia, ma a Ferrara, la fabbrica più antica e modello per ogni
famiglia di buona volontà che si ingegnava a copiare il prodotto, è
stata la Fis, Fabbrica Italo Svizzera, tanto famosa quanto quella dei
budini e delle creme Intrepido. La FIS era specializzata in questa
arte ed ha esposto i suoi “mattoni tondi” anche al Salone dei
Sapori della Fiera di Milano. Ritornando ancora ai tempi
dell’adolescenza, poi - concludono rimembranze di Oberdàn- quando
proprio si doveva acquistare un pampepato con la sua bella confezione
caratteristica in cartone colorato, voleva proprio dire che le
finanze non mancavano e allora ci si poteva concedere uno
sfizio”. “Carta d’argento, luce degli occhi, fattelo in
casa se non hai baiocchi- recita la filastrocca- Nastri dorati,
palati stuzzicati, pur di mangiarlo li sganci i ducati. Mora la pelle
del pan ben prezioso che scaccia la fame e fa un po’ il lezioso se
gli giri attorno e misuri la fetta con l’occhio alla lama e la
cinghia un po’ stretta. Dai vecchi ai poppanti gli assaggi sono
tanti e inizi a Novembre a sognare Dicembre. L’abete e la
stella, la festa è più bella se lecchi col dito il dolce del
mito ”.
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